sabato 16 febbraio 2013

I disoccupati di Marienthal

Nell'autunno del 1931, i ricercatori Paul Felix Lazarsfeld, Marie Jahoda e Hans Zeisel si proposero di affrontare la realtà della Grande Depressione in tutta la sua gravità, ma in un nuovo linguaggio che potremmo definire proto-sociologico. Si voleva indagare su di un sobborgo di Venna: Marienthal, colpito brutalmente dalla "morte sociale". In effetti, l'unica fabbrica del borgo fu costretta a chiudere i battenti e licenziatre i lavoratori. Questo dramma è raccontata ne "I disoccupati di Marienthal". Una disgregazione sociale avverrà nel "luogo monotono" dove "le case sono lunghe, a un piano, tutte costruite sullo stesso modello." In questo borgo i lavoratori erano in gran parte immigrati (Cechi, Boemi, tedeschi) e, ironia della sorte,  oggi Marienthal ospita i discendenti dei rifugiati polacchi provenienti dai campi di Götzendorf e Traiskirchen.
Le cose erano iniziate bene nel 1830, quando Hermann Todesko aveva fondato un mulino di lino. Rapidamente diventato la fabbrica di punta a Marienthal. Dalla tessitura del lino alla produzione di rayon, questa diversificazione tessile industriale aveva  accompagnato la grande crescita della borgata. Di 478 famiglie che si trovavano a Marienthal nel 1930, 450 si guadagnavano da vivere grazie alla fabbrica, in pratica quella che suole chiamare una piccola company town (un po' come da noi Ivrea con L'Olivetti). Così, quando, dopo il grande sciopero nazionale del tessile nel 1925, l'impianto fu costretto a rallentare e poi fermare tutte le attività, cinque anni più tardi, inizierà la "morte sociale". Lazarsfeld allora cominciò ad indagare "in situ" col suo team iniziando ad analizzare la popolazione che la disoccupazione aveva esposto alla "cancrena sociale".
Bastarono pochi mesi per spegnere la vita a Marienthal, tutto morì improvvisamente. Il cibo cominciò a mancare, alcuni prodotti vennero razionati. Le scarpe divennero rare. Tutte le attivita "non vitali" iniziano ad appassire, non si leggevano più i giornali, non si  ascoltava più la radio. Lo sforzo fisico fu ridotto a zero, neanche la vicina Vienna riuscì ad avere la benché minima attrattiva.In questa "vita senza scopo e senza speranza," la scelta fu tra l'indifferenza, la rassegnazione, il collasso o la disperazione.Gli individui soppressero dal loro vocabolario parole come: resistenza, lotta, progetto e futuroRimase solo il tempo, "il tempo di non fare nulla", fu questo il problema, perché fu l'unico legame con la realtà. Marienthal divenne una metafora della realtà che tutti cercavano di sfuggire, ma senza riuscirci, come in un incubo e proprio nella città di Freud. Nella sua prefazione ai disoccupati di Marienthal Pierre Bourdieu afferma: "l'esperienza della disoccupazione si esprime allo stato grezzo, in verità come metafisica dell'esperienza di abbandono." Non vi è niente di più istruttivo di questa ricerca, condotta ottant'anni fa e la cui rilevanza è gravida di quei germi che il passare del tempo ha fatto germinare nella miseria sociale  e nelle cattive condizioni economiche odierne. Pure in questo marasma resistettero delle famiglie con la giusta filosofia: Le Famiglie Integre, quelle che mandavano i figli a scuola, che tenevano in ordine la casa e che continuavano ad avere fiducia nel futuro, erano ben il 23%. Il grosso erano le Famiglie Rassegnate, il 70%, senza fiducia né speranza, quelle che riducevano drasticamente i consumi, ma che comunque avevano dignità e mandavano i figli a scuola. Poi venivano le Famiglie Spezzate sia perché Disperate che peggio ancora Apatiche, queste ultime non mandavano i figli a scuola e vivevano nel degrado e senza la cognizione del tempo.  Queste erano il 7%.

Per attualizzare il tutto basta ricordare che, di recente,  una ricerca dell’Università di Stirling in Gran Bretagna dimostra che la personalità dei disoccupati  da più di un anno, cambia in maniera sensibile e negativa. 
In tutti i soggetti studiati la disoccupazione ha causato una trasformazione del carattere riducendo fattori essenziali come la disponibilità, la franchezza e la meticolosità, proprio le caratteristiche determinanti nell'avere successo nella ricerca di un nuovo lavoro. 
Bisognerebbe insegnare a quel 77% che non coltiva la SPERANZA FONDAMENTALE a reagire,  a porsi degli obiettivi, a continuare a vivere al meglio e non a sopravvivere.
mantenere una routine (METODO) simile a quella che si aveva quando si era impiegati: mantenersi attivi, rispettare i tempi, concentrarsi sul raggiungimento di obiettivi facili e vicini, da ultimo coltivare la positività, perché anche su questo bisogna impegnarsi,  "lavorarci su".

Ci vuole fiducia e coraggio perché, come dice Paolo Rossi Filosofo delle scienza, «la tecnologia come risolve un problema ne apre altri dieci ancora più complessi». Per risolverli ci vogliono persone...quindi occupati in altri settori.

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