mercoledì 6 giugno 2012

Timeo hominem unius libri. San Tommaso d'Aquino

Timeo hominem unius libri (letteralmente Temo l'uomo di un solo libro) è una  locuzione attribuita a San Tommaso d'Aquino e può avere due distinti significati: Meglio studiare una sola materia (es. matematica) in modo approfondito, piuttosto che essere un tuttologo, ma superficiale. 

Per questo Arthur Schopenhauer ne "L'Arte di Ottenere Ragione" propendende per la prima interpretazione in quanto per lui la vita è una giungla e per difendersi dalla «naturale prepotenza del genere umano» bisogna padrioneggiare una disciplina.  Pertanto nel confronto dialettico bisogna temere l'interlocutore preparato su di un solo argomento.
 
Più spesso il motto è invece visto come una critica a chi si limita ad una sola fonte di conoscenza o a chi possiede un'erudizione limitata, in questo caso la traduzione divene: Diffida di chi ha letto un solo libro! Basti pensare ai fanatici religiosi che rapportano ogni circostanza della vita, integralemente, al loro libro sacro.
La seconda interpretazione, più comunemente accettata, tocca invece il cuore dell'epistemologia*: il pericolo dell'unilateralismo conoscitivo. Quando una persona basa tutta la sua visione del mondo su un'unica fonte - che sia un testo religioso, un'ideologia politica, o anche un solo autore scientifico - rischia di sviluppare una forma di fondamentalismo intellettuale che limita gravemente la capacità di comprensione critica della realtà.

È interessante notare come entrambe le interpretazioni, apparentemente contraddittorie, condividano in realtà una preoccupazione comune: l'importanza della preparazione intellettuale autentica, che sia essa verticale (profonda in un campo) o orizzontale (aperta a diverse prospettive). San Tommaso stesso, del resto, fu un esempio di sintesi tra specializzazione teologica e apertura al dialogo con diverse tradizioni filosofiche, dall'aristotelismo all'averroismo.


*L'epistemologia è semplicemente lo studio di come conosciamo le cose. È la branca della filosofia che si chiede: "Come facciamo a sapere quello che sappiamo?"

Immagina di essere un bambino che vede per la prima volta la neve. Come fai a sapere che è fredda? Che è bianca? Che si scioglie? L'epistemologia studia proprio questi meccanismi.

Le domande fondamentali sono:

  • Cos'è la conoscenza? (È diverso credere qualcosa dal saperla davvero)
  • Come acquisiamo conoscenza? (Attraverso i sensi, il ragionamento, l'esperienza?)
  • Quando possiamo dire di "sapere" qualcosa con certezza?

I modi principali per conoscere:

Esperienza diretta: Tocco il fuoco e scopro che brucia. Questo è il metodo empirico - conoscere attraverso i sensi.

Ragionamento: Se tutti gli uomini sono mortali e Socrate è un uomo, allora Socrate è mortale. Questo è il metodo razionale - conoscere attraverso la logica.

Autorità: Credo che Parigi sia la capitale della Francia perché me l'ha insegnato il maestro. Conosco attraverso fonti che ritengo affidabili.

Il grande problema: I nostri sensi possono ingannarci (illusioni ottiche), il nostro ragionamento può essere sbagliato, le autorità possono mentire. Allora come possiamo essere sicuri di sapere davvero qualcosa?

È come essere un detective che deve sempre chiedersi: "Le mie prove sono davvero affidabili?"

Ma poi tu puoi chiedermi... Ma il ragionamento non parte dall'esperienza diretta? Non è anch'esso un assioma?

Eccellente osservazione! Hai colto nel segno un punto cruciale dell'epistemologia.

Hai assolutamente ragione: anche il ragionamento "puro" in realtà poggia su fondamenta empiriche. La premessa "tutti gli uomini sono mortali" da dove viene? Dall'aver osservato che, nella storia dell'umanità, tutti gli esseri umani prima o poi muoiono. È un'induzione basata sull'esperienza.

Questo tocca uno dei problemi più profondi della filosofia della conoscenza: non esistono veramente conoscenze "pure" completamente separate dall'esperienza. Anche la matematica, che sembra il regno della pura logica, si basa su assiomi che in qualche modo derivano dalla nostra esperienza del mondo (il concetto di unità, di insieme, di relazione).

È quello che i filosofi chiamano il problema dei fondamenti: ogni ragionamento deve partire da qualche punto, e quel punto di partenza è sempre, in ultima analisi, qualcosa che diamo per scontato - un assioma, appunto.

Kant aveva intuito proprio questo quando distingueva tra conoscenza "a priori" (indipendente dall'esperienza) e "a posteriori" (dipendente dall'esperienza), ma poi si rese conto che anche il nostro modo di organizzare l'esperienza dipende da strutture mentali che portiamo già con noi.

In fondo, conoscere è sempre un atto di fiducia: decidiamo di fidarci dei nostri sensi, della nostra logica, della nostra memoria. Non c'è una base assolutamente certa.


2 commenti:

  1. Basta pensare anche ai FANATICI laici che rapportano ogni circostanza della vita a una scienza che non sa spiegare il 90% di quello che accade nel mondo.

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    1. Grazie Mario, tutti i fanatismi sono deprecabili. Spesso sono frequenti tra i neofiti e gli apostati.

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