Tratto dal sito del lavoro di Repubblica: www.miojob.it
http://miojob.repubblica.it/notizie-e-servizi/notizie/dettaglio/quale-formazione-con-la-crisi-tra-hi-tech-e-enogastronomia/4163793
Come orientarsi nel grande mare delle offerte formative, le aree su cui puntare la propria attenzione e i parametri più importanti per giudicare un corso. E poi i consigli per gli over 45 e i suggerimenti per il giusto approccio nell'intervista a Aldo Monti, formatore e consulente aziendale dopo importanti esperienze in multinazionali
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Come orientarsi nel grande mare delle offerte formative, le aree su cui puntare la propria attenzione e i parametri più importanti per giudicare un corso. E poi i consigli per gli over 45 e i suggerimenti per il giusto approccio nell'intervista a Aldo Monti, formatore e consulente aziendale dopo importanti esperienze in multinazionali
di LUIGI BORGHESE
Quali sono i parametri a cui stare più attenti per giudicare un corso di formazione? In quale aree e competenze è meglio puntare la propria attenzione in questi tempi di crisi? Qual è il giusto approccio per tornare tra i banchi e apprendere nuovi saperi? Abbiamo sentito Aldo Monti, formatore e consulente aziendale dopo importanti esperienze in multinazionali, per trovare alcune risposte utili a orientare chi si ritrova a compiere delle scelte tra formazione e nuove opportunità.
Se una persona uscita dal mercato del lavoro per colpa della crisi, decide di seguire un corso di formazione, come fa a orientarsi nel grande mare delle offerte formative? Quali sono i parametri per giudicare un corso che possa essere anche efficace?
“A volte è difficile anche per noi addetti ai lavori capire che tipo di realtà vi sia dietro un corso di formazione. Comunque da un punto di vista formale il mio suggerimento è quello di rivolgersi ad enti riconosciuti, che operino sul territorio da un congruo numero di anni. Meglio ancora se collegati ad associazioni di categoria. Parlando poi dei contenuti mi indirizzerei senz'altro verso aree tematiche che possano offrire prospettive per il futuro: telecomunicazioni e nuove tecnologie, servizi per la famiglia e la terza età, marketing, turismo ed enogastronomia (l'unica grande realtà che, se sfruttata al meglio, potrà tenere in piedi questo paese). Non dimenticando poi le lingue straniere. Senza l'inglese ed almeno un'altra lingua oggi non si va da nessuna parte. E rimango esterrefatto di come nella maggior parte dei casi si trovino manager e laureati totalmente sprovvisti di tali competenze, competenze che peraltro potrebbero risultare utili anche per rivendersi sui mercati di lavoro esteri”.
C'è qualche suggerimento in particolare per un over 45?
“Se leggiamo gli annunci di lavoro sembra che quasi tutte le aziende cerchino ventenni che abbiano però trent'anni di esperienza...A parte gli scherzi, l'età costituisce senz'altro una barriera, ma di fatto pone le persone in una situazione in cui non vi è nulla da perdere. Si può veramente osare e ripartire da zero, magari ritornando a quei sogni che in gioventù erano stati accantonati, e soprattutto orientandosi verso settori ed attività ancora in salute”.
Come ci si rimette in gioco con un corso di formazione dopo avere già lavorato e avere perduto un lavoro? In quali casi ha senso in maniera particolare? Quale approccio? Come si superano le difficoltà e la diffidenza? Come si cambia approccio?
“Il peggior errore che si possa commettere in questa situazione è quello di demoralizzarsi. Mi rendo conto che non sia semplice, ma l'unica maniera per non soccombere, per non farsi risucchiare dalle sabbie mobili è quella di rimettersi totalmente in discussione. Per molti è difficile tornare in un'aula tanti anni dopo la fine della scuola (visto poi che la formazione in azienda non è di solito la regola, anzi...), ma se si arriva con la mente aperta, l'esperienza della formazione può veramente rappresentare un momento importante: il bicchiere è sempre quello, ma il vederlo mezzo pieno ci facilita non poco le cose... Per superare queste difficoltà e diffidenze risulta poi centrale il ruolo del formatore, che deve riuscire a portare avanti anche un'azione di mentoring”.
L'Italia non si distingue affatto per la formazione continua. Pochi sono i dipendenti nelle aziende italiane che vengono coinvolti rispetto alle medie europee. Con la crisi le cose sono anche peggiorate. Come si può intervenire per favorire una maggiore diffusione della formazione continua?
“La formazione è sempre stata vista da molte aziende, soprattutto di dimensione medio piccola, come un qualcosa di totalmente inutile. Spesso si faceva a malapena quella obbligatoria, vivendola quasi come un'imposizione. Se vogliamo provare a fare una semplificazione, nell'economia degli anni 70-80 prodotti e servizi si vendevano sostanzialmente da soli. Marketing e produttività aziendale avevano una posizione di secondo piano: e questo spiega quanto sopra. Oggi la situazione è diversa. Possono andare avanti solamente quelle aziende che siano in grado di affrontare le nuove sfide sopraggiunte con questo vento di crisi. Credo che la crisi possa avere anche una sua componente salutare, maieutica. Sopravviveranno però solo quelle realtà che invece di tagliare gli investimenti verso la promozione e le risorse, capiranno che è proprio questo il momento in cui investire e rimettersi in discussione, pensando in un'ottica globale. Il cambiamento che il mondo sta vivendo è epocale. Nel 2020 ci saranno al mondo più di 9 miliardi di persone. E se oggi l'accesso ad internet è limitato a 800 milioni di individui, sempre nel 2020 il dato salirà a 4 miliardi. Solo tenendo in considerazione dati come questi sarà possibile prendere le decisioni corrette”.
Sempre più manager si stanno riconvertendo in formatore, coach, councelor ecc. Ma chi ha davvero le competenze?
“Credo che le competenze siano direttamente proporzionali ai risultati ottenuti nella propria vita lavorativa. La congruenza tra quello che si dice, e quello che si è fatto e che si fa. Vi fidereste di un dietologo grasso o di un tricologo calvo?!? Non sempre però chi ha competenze e conoscenze è in grado di saperle trasmettere. In generale credo che la qualità della nostra vita sia direttamente proporzionale a quella delle nostre capacità di comunicare. E questo è ancora più vero in un ambito come quello della formazione in cui creare un rapporto con la propria aula rappresenta almeno il 50% del lavoro”.
La formazione finanziata corre il rischio di essere una specie di ammortizzatore che di fatto però non riesce davvero a offrire strumenti a disoccupati o cassaintegrati. Oggi questi fondi stanno diminuendo. Cosa si può fare per realizzare un qualcosa che dia risultati tangibili?
“Ad essere sincero il modello che preferisco è quello del Regno Unito, realtà in cui verificata l'estrema difficoltà di reinserimento nel mondo del lavoro (soprattutto per donne ed over 45), buona parte dei fondi sono stati indirizzati verso iniziative rivolte all'auto imprenditorialità. Un approccio realistico, che oltremanica ha dato risultati molto interessanti”.
Quali sono le qualità che deve avere un esperto formatore?
“Buoni skill comunicativi sono fondamentali. A questo aggiungerei il genuino interesse verso le persone e la voglia di rimanere sempre e costantemente informati ed aggiornati. Spesso poi si deve intervenire quasi a livello di coaching per fare in modo che le nozioni apprese in aula vengano messe in pratica. Se dopo un corso tutto rimane come prima, è una sconfitta per tutti ma soprattutto per il formatore...”
In che modo si può superare la diffidenza delle pmi italiane nei confronti della formazione?
“In molti casi la si riuscirà a superare di slancio. Stiamo vivendo una corsa a folle velocità che ha come destinazione un muro. Chi dopo essersi fracassato la testa sarà in grado di ripartire dovrà fare di necessità virtù, rendendosi conto che per andare avanti non si può fare a meno di risorse umane formate, aggiornate e motivate”.
Su quali leve dovrebbe agire di più la formazione per gli over 40 da riqualificare?
“Nuove tecnologie, nuove professionalità, sviluppo di reali competenze trasversali. Senza dimenticare poi gli strumenti per rivendersi nel mondo del lavoro, una serie di strumenti di self marketing, per poter essere in grado di vendere il prodotto più importante che abbiamo: noi stessi”.
Quali sono i parametri a cui stare più attenti per giudicare un corso di formazione? In quale aree e competenze è meglio puntare la propria attenzione in questi tempi di crisi? Qual è il giusto approccio per tornare tra i banchi e apprendere nuovi saperi? Abbiamo sentito Aldo Monti, formatore e consulente aziendale dopo importanti esperienze in multinazionali, per trovare alcune risposte utili a orientare chi si ritrova a compiere delle scelte tra formazione e nuove opportunità.
Se una persona uscita dal mercato del lavoro per colpa della crisi, decide di seguire un corso di formazione, come fa a orientarsi nel grande mare delle offerte formative? Quali sono i parametri per giudicare un corso che possa essere anche efficace?
“A volte è difficile anche per noi addetti ai lavori capire che tipo di realtà vi sia dietro un corso di formazione. Comunque da un punto di vista formale il mio suggerimento è quello di rivolgersi ad enti riconosciuti, che operino sul territorio da un congruo numero di anni. Meglio ancora se collegati ad associazioni di categoria. Parlando poi dei contenuti mi indirizzerei senz'altro verso aree tematiche che possano offrire prospettive per il futuro: telecomunicazioni e nuove tecnologie, servizi per la famiglia e la terza età, marketing, turismo ed enogastronomia (l'unica grande realtà che, se sfruttata al meglio, potrà tenere in piedi questo paese). Non dimenticando poi le lingue straniere. Senza l'inglese ed almeno un'altra lingua oggi non si va da nessuna parte. E rimango esterrefatto di come nella maggior parte dei casi si trovino manager e laureati totalmente sprovvisti di tali competenze, competenze che peraltro potrebbero risultare utili anche per rivendersi sui mercati di lavoro esteri”.
C'è qualche suggerimento in particolare per un over 45?
“Se leggiamo gli annunci di lavoro sembra che quasi tutte le aziende cerchino ventenni che abbiano però trent'anni di esperienza...A parte gli scherzi, l'età costituisce senz'altro una barriera, ma di fatto pone le persone in una situazione in cui non vi è nulla da perdere. Si può veramente osare e ripartire da zero, magari ritornando a quei sogni che in gioventù erano stati accantonati, e soprattutto orientandosi verso settori ed attività ancora in salute”.
Come ci si rimette in gioco con un corso di formazione dopo avere già lavorato e avere perduto un lavoro? In quali casi ha senso in maniera particolare? Quale approccio? Come si superano le difficoltà e la diffidenza? Come si cambia approccio?
“Il peggior errore che si possa commettere in questa situazione è quello di demoralizzarsi. Mi rendo conto che non sia semplice, ma l'unica maniera per non soccombere, per non farsi risucchiare dalle sabbie mobili è quella di rimettersi totalmente in discussione. Per molti è difficile tornare in un'aula tanti anni dopo la fine della scuola (visto poi che la formazione in azienda non è di solito la regola, anzi...), ma se si arriva con la mente aperta, l'esperienza della formazione può veramente rappresentare un momento importante: il bicchiere è sempre quello, ma il vederlo mezzo pieno ci facilita non poco le cose... Per superare queste difficoltà e diffidenze risulta poi centrale il ruolo del formatore, che deve riuscire a portare avanti anche un'azione di mentoring”.
L'Italia non si distingue affatto per la formazione continua. Pochi sono i dipendenti nelle aziende italiane che vengono coinvolti rispetto alle medie europee. Con la crisi le cose sono anche peggiorate. Come si può intervenire per favorire una maggiore diffusione della formazione continua?
“La formazione è sempre stata vista da molte aziende, soprattutto di dimensione medio piccola, come un qualcosa di totalmente inutile. Spesso si faceva a malapena quella obbligatoria, vivendola quasi come un'imposizione. Se vogliamo provare a fare una semplificazione, nell'economia degli anni 70-80 prodotti e servizi si vendevano sostanzialmente da soli. Marketing e produttività aziendale avevano una posizione di secondo piano: e questo spiega quanto sopra. Oggi la situazione è diversa. Possono andare avanti solamente quelle aziende che siano in grado di affrontare le nuove sfide sopraggiunte con questo vento di crisi. Credo che la crisi possa avere anche una sua componente salutare, maieutica. Sopravviveranno però solo quelle realtà che invece di tagliare gli investimenti verso la promozione e le risorse, capiranno che è proprio questo il momento in cui investire e rimettersi in discussione, pensando in un'ottica globale. Il cambiamento che il mondo sta vivendo è epocale. Nel 2020 ci saranno al mondo più di 9 miliardi di persone. E se oggi l'accesso ad internet è limitato a 800 milioni di individui, sempre nel 2020 il dato salirà a 4 miliardi. Solo tenendo in considerazione dati come questi sarà possibile prendere le decisioni corrette”.
Sempre più manager si stanno riconvertendo in formatore, coach, councelor ecc. Ma chi ha davvero le competenze?
“Credo che le competenze siano direttamente proporzionali ai risultati ottenuti nella propria vita lavorativa. La congruenza tra quello che si dice, e quello che si è fatto e che si fa. Vi fidereste di un dietologo grasso o di un tricologo calvo?!? Non sempre però chi ha competenze e conoscenze è in grado di saperle trasmettere. In generale credo che la qualità della nostra vita sia direttamente proporzionale a quella delle nostre capacità di comunicare. E questo è ancora più vero in un ambito come quello della formazione in cui creare un rapporto con la propria aula rappresenta almeno il 50% del lavoro”.
La formazione finanziata corre il rischio di essere una specie di ammortizzatore che di fatto però non riesce davvero a offrire strumenti a disoccupati o cassaintegrati. Oggi questi fondi stanno diminuendo. Cosa si può fare per realizzare un qualcosa che dia risultati tangibili?
“Ad essere sincero il modello che preferisco è quello del Regno Unito, realtà in cui verificata l'estrema difficoltà di reinserimento nel mondo del lavoro (soprattutto per donne ed over 45), buona parte dei fondi sono stati indirizzati verso iniziative rivolte all'auto imprenditorialità. Un approccio realistico, che oltremanica ha dato risultati molto interessanti”.
Quali sono le qualità che deve avere un esperto formatore?
“Buoni skill comunicativi sono fondamentali. A questo aggiungerei il genuino interesse verso le persone e la voglia di rimanere sempre e costantemente informati ed aggiornati. Spesso poi si deve intervenire quasi a livello di coaching per fare in modo che le nozioni apprese in aula vengano messe in pratica. Se dopo un corso tutto rimane come prima, è una sconfitta per tutti ma soprattutto per il formatore...”
In che modo si può superare la diffidenza delle pmi italiane nei confronti della formazione?
“In molti casi la si riuscirà a superare di slancio. Stiamo vivendo una corsa a folle velocità che ha come destinazione un muro. Chi dopo essersi fracassato la testa sarà in grado di ripartire dovrà fare di necessità virtù, rendendosi conto che per andare avanti non si può fare a meno di risorse umane formate, aggiornate e motivate”.
Su quali leve dovrebbe agire di più la formazione per gli over 40 da riqualificare?
“Nuove tecnologie, nuove professionalità, sviluppo di reali competenze trasversali. Senza dimenticare poi gli strumenti per rivendersi nel mondo del lavoro, una serie di strumenti di self marketing, per poter essere in grado di vendere il prodotto più importante che abbiamo: noi stessi”.
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