lunedì 20 maggio 2013

BILDEBERG & CO: DI COSA PARLANO, A COSA SERVONO

Sergio Romano per "Il Corriere della Sera"  risponde ad un lettore sul Club Bilderberg 

Caro Marinelli,


 
Sono stato membro della Commissione Trilaterale per parecchi anni, ho partecipato a una riunione del gruppo Bilderberg e a parecchi incontri dell'Aspen Institute. Conosco bene il lavoro del Council of Foreign Relations, una istituzione che ha le sue sedi principali a New York e a Chicago, ma non ho mai avuto l'occasione di prendere parte a uno dei suoi seminari.

Non è vero che i giornali ignorino gli incontri organizzati da queste associazioni. Ma quando lo fanno devono osservare in molti casi le «regole di Chatham House», dal nome della casa londinese in cui ha sede il Royal Institute of International Affairs, una istituzione fondata nel 1920 che è per molti aspetti il prototipo di quelle sorte successivamente in molti altri Paesi per l'analisi delle questioni internazionali (il Council americano risale al 1921).


Secondo queste regole i giornalisti, quando sono invitati, possono riassumere gli interventi e le idee esposte nel corso del dibattito, ma devono astenersi dal rivelarne la paternità. La sola fra queste associazioni che chieda un riserbo maggiore è Bilderberg.

Società segrete? Non credo che possano considerarsi tali le associazioni di cui conosciamo la sede, il nome dei fondatori, dei dirigenti, dei membri. La regola del riserbo e della confidenzialità non serve a ordire complotti e a stringere patti segreti. Non posso escludere che due banchieri, in un incontro separato, colgano l'occasione per accordarsi sull'utilità di una fusione o di un acquisto.
Ma potrebbero fare altrettanto se s'incontrassero in un teatro o in una casa privata. La mancanza di pubblicità, in questo caso, serve a permettere che i partecipanti possano esprimersi liberamente, fare e farsi domande, azzardare ipotesi, calcolare i vantaggi e gli svantaggi di scelte politiche non ancora pienamente adottate.

Che cosa accadrebbe se le riunioni fossero pubbliche e ogni cittadino della «repubblica di Internet» potesse assistervi in streaming sul proprio computer? Molti intervenuti, soprattutto fra quelli che hanno maggiori responsabilità politiche e finanziarie, misurerebbero le loro parole, eluderebbero gli argomenti più spinosi, farebbero affermazioni politicamente corrette, parlerebbero come nei comizi e nei dibattiti televisivi.
E tutti tornerebbero a casa senza avere imparato nulla di nuovo. So che questo non piace al Movimento 5 Stelle e a suoi seguaci, ma verrà il giorno in cui anche i grillini scopriranno che in molte circostanze il mito della pubblicità totale favorisce gli slogan, le banalità, le affermazioni demagogiche e, in ultima analisi, le bugie.

Ognuno tragga le sue conclusioni.

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